L’11 settembre 2001 quattro aeroplani dirottati da 19 terroristi arabi si schiantarono contro le Torri Gemelle a New York, contro il Pentagono a Washington e solo per poco non riuscirono a distruggere anche la Casa Bianca o il Campidoglio. Fu il più grande attacco subìto dagli Stati Uniti d’America sul proprio suolo dopo quello di Pearl Harbor, nel 1941, una devastazione che provocò la morte di quasi 3.000 persone e mise in ginocchio la più grande potenza mondiale. Fu anche la tragedia meglio documentata della storia.
Qualche giorno dopo l’attentato Al-Manar, la rete televisiva di Hezbollah, e il quotidiano siriano al-Thawra informarono i loro lettori e telespettatori che 4.000 israeliani che lavoravano al World Trade Center erano stati avvertiti in anticipo degli attentati e non si erano presentati al lavoro, scampando così alla morte. Conclusione: l’attacco era stato programmato dagli israeliani e dagli ebrei d’America che avevano pensato bene di avvertire la propria gente di mettersi in salvo. L’idea del “complotto sionista” aveva già messo radici e aveva dato inizio ad una valanga inarrestabile di ipotesi cospirazioniste di
ogni tipo. Tra coloro che ritengono di avere scoperto la “verità”, invece, sono in molti quelli che sostengono che l’amministrazione Bush avrebbe concepito e realizzato un complicatissimo piano per colpire gli Stati Uniti e avere così il pretesto di scatenare una guerra in Afghanistan e in Iraq, per poi mettere le mani sul petrolio di quella nazione. Proprio come alcuni ritengono che, nel 1941, il presidente americano Roosevelt lasciò che i giapponesi colpissero Pearl Harbor ottenendo così la giustificazione decisiva agli occhi del Congresso e dell’opinione pubblica per fare entrare gli Stati Uniti in guerra.
Quale sarà la verità?
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A presto
La Prof.