
Diamo la parola ad Eleonora Orsi:
«La risposta risulta per me abbastanza semplice, perché confesso di non essere una persona che si arrabbia spesso. Innanzitutto, mi presento: sono Eleonora Orsi, ho 36 anni e insegno Italiano e Storia in un Istituto Tecnico della Romagna. La rabbia, dicevo, non mi appartiene più di tanto, a meno che non si vadano a toccare “i campi” che mi stanno più a cuore… La scuola è uno di questi.
Non mi è difficile individuare il pregiudizio che più mi innervosisce riguardo al nostro lavoro: l’idea che l’innovazione e l’aggiornamento vadano a braccetto necessariamente con la tecnologia e siano nemici della lezione frontale. I luoghi comuni più classici (gli insegnanti che lavorano poco, o che si godono tre settimane di nullafacenza ogni anno) non mi toccano quasi più, ma questa banalizzazione di cosa significhi studiare e formarsi per realizzare delle lezioni efficaci, non la sopporto.
Ultimamente mi pare che il dibattito sia acceso, e che facilmente ci si polarizzi intorno a due posizioni contrapposte: chi difende la scuola della tradizione, apparentemente minacciata da tecnologia e didattica per competenze, e chi invece taccia gli insegnanti di essere crudeli creature diaboliche sempre pronte a propinare lezioni ostiche e noiosissime a suon di nozioni.
Forse la mia sarà una condizione particolarmente fortunata, ma se mi guardo attorno vedo una realtà diversa, molto meno estrema e ben più ragionevole, in cui “innovare” non significa dimenticare la carta stampata, cancellare i momenti di spiegazione frontale o affidarsi costantemente a dispositivi e materiali audiovisivi, bensì comprendere quanto sia importante progettare con serietà un’azione didattica incentrata non tanto sull’insegnamento, ma piuttosto sull’apprendimento. Considerare gli studenti persone e, di conseguenza, provare a disegnare percorsi differenti a seconda delle intelligenze con cui ci si trova ad avere a che fare.
Se proprio dovessi individuare delle polarizzazioni, nei colleghi con cui mi confronto quotidianamente, potrei distinguere docenti che si mettono in gioco da docenti che non si mettono mai in discussione; insegnanti che cercano di formarsi costantemente e desiderano migliorare ogni giorno, e insegnanti che si illudono di non avere più nulla da imparare. E se qualcuno si facesse imbambolare dalla tecnologia e cominciasse a dialogare coi propri studenti solamente attraverso filmati, moduli Google, Kahoot e presentazioni Canva, allora credo non sarebbe un problema di tecnologia pervasiva: immagino che, in quel caso, si tratterebbe di un insegnante che non ha compreso l’importanza, nella scuola, dello scambio tra esseri umani».