Negli ultimi anni si parla di Scuola digitale per indicare una scuola le cui attività si sviluppano in parte in ambienti fisici in parte in ambienti virtuali, usando tradizionali strumenti analogici e strumenti digitali quali LIM, computer, tablet, smartphone.

Si tratta di una scuola i cui contenuti sono sempre più in formato digitale e sempre più risiedono nel cloud; in cui le relazioni fra docenti e studenti e fra studenti, ma anche con i genitori si avviano in presenza ma proseguono anche in rete (basti pensare al registro elettronico). Quella che si è venuta configurando è una scuola non più chiusa ma aperta all’interno della quale si superano i confini temporali (l’ora di lezione) e spaziali (l’aula).

Si tratta di un cambiamento di paradigma che, seppur non ancora completamente noto nelle sue implicazioni, si esplica già nella rapidità in cui stanno evolvendo tanto il rapporto tra studenti e docenti, quanto le modalità di accesso dei ragazzi alla conoscenza.

Il rischio è che nel nostro sistema scolastico, anche se impegnato in interventi di modernizzazione e sperimentazione di vario genere, si crei un gap tra studenti (i “nativi digitali”) e adulti (gli “immigrati digitali”); un divario da superare, restituendo alla scuola il suo ruolo di guida nel percorso di crescita personale, anche attraverso le molteplici strade offerte dalle nuove tecnologie.

Ecco perché nasce il blog e tutti i profili social. Ecco perché ho sentito l’esigenza di comunicare direttamente con una ipotetica “community”: tutti siamo studenti, tutti possiamo imparare ma bisogna capire come e cosa. Insomma propongo una sorta di Byod (“porta il tuo dispositivo”), un uso del proprio smartphone per imparare non solo quanto offro io, ma quello che offre il web. Sorge un problema: senza spirito critico non si va da nessuna parte e lo vedremo successivamente.

E quindi prof? Niente, volevo spiegarvi che ho creato il logo nuovo che racchiude in qualche modo la mission del mio operato. Spero che vi piaccia.

La prof.

P. S. Ho evitato spiegazioni del tipo “lo sfondo esplica il vostro animo e le colombe il vostro ingegno” perché non frega a nessuno e poi non è nemmeno vero. Per questo motivo: apprezzate, perché vi ho salvato da una spiegazione melensa e sdolcinata 😅😉.


3 risposte a “Didattica “social” alla Mi dicono che”

  1. Avatar ilblogperte

    grazie per seguire il mio blog ☺️

  2. Avatar La Strega

    Quello della scuola digitale è un argomento interessante, perché mi pare di capire che funzioni meno di quello che ci si era preventivati nel momento dell’organizzazione di questa specie di evoluzione coatta. ^^
    Quando ascolto gli insegnanti, sento lamentele sulla difficoltà di utilizzare i nuovi mezzi, sui corsi di approfondimento che sono stati insufficienti e non adatti allo scopo e last but not least sul rendimento dei ragazzi. In effetti, è vero che i nuovi studenti, quelli digitali, mi sembrano più tordi dei loro compagni, paradossalmente meno interessati all’apprendimento e all’ampliamento dei propri confini mentali.
    Tu cosa ne pensi?

    1. Avatar Mi dicono che - V. S.

      Mi inviti a nozze con la tua domanda e spero di non dilungarmi molto. Andiamo per gradi:
      1. “La ‘scuola digitale’ non è un’altra scuola. È, più concretamente, la sfida dell’innovazione della scuola.” è chiarito dal Piano Nazionale Scuola Digitale. I dati forniti dal MIUR indicano che gran parte delle scuole è tecnologicamente attrezzata. E a questi dati si può sommare quelli della tecnologia che gli studenti – e gli insegnanti – hanno personalmente a disposizione – portatili tablet e smartphone – e che può essere utilizzata in una logica BYOD (Bring Your Own Device). Ora dove è il problema? I docenti. I docenti sono il problema: è essenziale che gli insegnanti siano preparati ad utilizzare le tecnologie digitali per rendere più efficace e attraente la didattica, ma è altrettanto essenziale (a mio avviso) ridurre la distanza con gli studenti utilizzando i loro strumenti.
      2. Gli studenti di oggi sono diversi dagli studenti di ieri. Pensa che Marco Lodoli nel 2002 scriveva “Il silenzio dei miei studenti che non sanno più ragionare” (https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/10/04/il-silenzio-dei-miei-studenti-che-non.html), una descrizione ante litteram del mondo degli adolescenti. Non ero del tutto d’accordo allora con l’autore e non lo sono oggi: i ragazzi sono svegli, intelligenti e capaci di fare molte cose, ma hanno un grosso problema. Il loro problema è che non sono appassionati a nulla, non si emozionano a nulla. Hanno bisogno di scosse, ma quelle belle, quelle che fanno drizzare i peli. Manca il #sapereardere.
      Spero di averti risposto esaustivamente, a presto!

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