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Karl Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del XIX secolo

Karl Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del XIX secolo, To, Einaudi, 1949, pp. 212-248

PARTE PRIMA. CAPITOLO TERZO
1. La critica generale del concetto hegeliano di realtà.
“La critica di Marx e Kierkegaard separa proprio ciò che Hegel aveva unificato; entrambi rovesciano la sua conciliazione della ragione con la realtà. Marx fa oggetto della sua critica la filosofia politica: e Kierkegaard con la sua si volge contro il cristianesimo filosofico. In tal modo avviene non soltanto un dissolvimento del sistema di Hegel, ma in pari tempo una decomposizione di tutto quanto il sistema del mondo borghese-cristiano. […] Sostanzialmente la critica si volge contro una sola frase della prefazione alla Filosofia del diritto: «Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale».” Hegel, infatti, “ha innalzato, quanto nessuno prima di lui, il mondo concreto a contenuto della filosofia. Se, infatti, è essenziale alla filosofia in quanto tale porre il contenuto della coscienza nella forma del pensiero e “riflettere” quindi sulla realtà, altrettanto essenziale è d’altro canto essere in chiaro che il contenuto della filosofia non può che essere il mondo stesso, ossia la realtà dell’esperienza. La coincidenza della filosofia con la realtà può anzi essere considerata come una prova esterna della sua verità”. D’altra parte, però la proposizione speculativa divenne equivoca per i pensatori posteriori, a seconda che questi “assunsero come criterio interpretativo la realtà soltanto del razionale”, accentuando la prima parte della proposizione, “oppure la razionalità soltanto del reale”, accentuando, invece, la seconda parte.
Ora, secondo Feurbach, “il segreto del pensiero non si rivela infatti al pensiero del generale”, secondo l’impostazione della filosofia hegeliana, “ma all’intuizione sensibile, alla sensazione e alla passione”. “Solo la passione, – dice Feurbach, d’accordo con Kierkeggard, – è il segno dell’esistenza” poiché soltanto ad essa interessa in realtà se qualcosa sia oppure non sia,; per il pensiero puramente teorico questa distinzione pratica invece è priva di interesse. […] Anche Marx e Kierkegaard hanno orientato la loro critica contro Hegel sul concetto di esistenza reale”. Marx si rivolge “all’esistenza economica della massa e Kierkegaard a quella etico-religiosa dell’individuo. […] in Feurbach l’esistenza reale in genere si ritrova nella sensazione e nella passione, in Marx l’esistenza sociale si svela nell’attività sensibile in quanto prassi sociale, ed in Kierkegaard la realtà etica si mostra nella passione dell’agire intimo”.
2. Le distinzioni critiche di Marx e di Kierkegaard.
a) Marx
“Hegel non dev’essere biasimato per aver descritto l’essenza dello Stato moderno…, ma per aver spacciato come Essenza dello Stato la realtà di fatto”.
«Come cittadino dello Stato, il borghese è necessariamente qualcosa di diverso, di esterno e di estraneo a se stesso, allo stesso modo che d’altro canto la sua vita privata rimane estranea ed esterna rispetto allo Stato.[…] La determinazione dell’uomo di essere un membro dello Stato rimane necessariamente una determinazione astratta, finché i reali rapporti della vita presuppongono una separazione del privato dal pubblico. Come uomo privato, separato dall’universalità pubblica della vita, egli stesso è determinato verso interessi privati. Nella società comunistica avviene proprio l’inverso: in essa gli individui in quanto individui partecipano dello Stato, in quanto loro “res pubblica”. […] soltanto una rivoluzione radicale dei rapporti esistenti potrebbe determinare una polis allargata in una cosmopolis, condurre cioè alla “vera democrazia” di una società che non conosca più classi e realizzare nella società moderna la filosofia dello Stato di Hegel (che prevede il superamento del contrasto tra esistenza privata ed egoistica ed esistenza pubblica). Soltanto in questa polis dell’avvenire il mondo potrebbe davvero diventare nostro, cioè l’essere altro di noi stessi, che abbia la nostra stessa natura. L’uomo privato borghese rimane per contro necessariamente estraneo nel suo mondo pubblico. In estremo contrasto a questo comunismo filosofico, Kierkegaard ha trasformato radicalmente l’uomo provato nel “singolo”, ed ha contrapposto l’interiorità dell’esser-se-stessi alla esteriorità dei rapporti di massa. I due unici modelli dell’esistenza isolata sono per lui Socrate nella polis ateniese, e Cristo di fronte a tutto quanto il mondo degli ebrei e dei pagani».
b) Kierkegaard
«La ragione dell’insufficienza di Hegel di fronte alla realtà non è posta da Kierkegaard in una difettosa deduzione dal principio, come sembra a Marx, ma nel fatto che in genere Hegel vuole inserire l’essenza nell’esistenza. Per questo appunto egli non fa mai risultare un’esistenza “reale”, ma sempre soltanto un’”esistenza concettuale” ideale. Infatti l’essentia di qualcosa, ossia che cosa qualcosa sia, riguarda l’essenza generale; per l’existentia, ossia che qualcosa sia, l’esistenza singola e momentanea, mia e tua, è invece decisivo il fatto che sia oppure non sia. La critica contro Hegel di Kierkegaard ritorna alla critica kantiana della prova ontologica di Dio, allo scopo di giustificare la distinzione contenutavi tra essenza ed esistenza come l’unico pensiero onesto riguardo l’esistenza”[…] La categoria della singolarità non è peraltro una categoria come le altre, ma rappresenta la determinazione distinta della realtà; già per Aristotele, , infatti, realmente esistente è sempre soltanto” questo qualcosa qui” determinato, cioè il singolo, quale si presenta qui ed ora. Nella dottrina hegeliana del concetto la singolarità è si postulata come l’unica realtà, ma nella mediazione indifferente con il particolare e l’universale. La realtà singola significa per lui la determinatezza riflessa in sé e particolare di ciò che è universale, e l’uomo singolo rappresenta quindi una determinatezza particolare dell’universale esser-uomo, la cui essenza è lo spirito. Questa universalità dell’esser-uomo, cioè l’universalmente-umano, non è stata negata da Kierkegaard, ma è da lui stata ritenuta come realizzabile soltanto dal singolo, mentre la universalità dello Spirito (Hegel) o dell’umanità (Marx) è a lui sembrata esistenzialmente nulla. […]
Il concetto polemico di K. dell’esistenza reale (un’esistenza che è di supremo interesse per chi esiste) non è soltanto diretto contro Hegel, ma rappresenta in pari tempo un correttivo contro le esigenze dell’epoca.
L’esistenza isolata in se stessa è, in primo luogo, la realtà distinta ed unica di fronte al sistema, che abbraccia in egual modo ogni cosa, ed appiana le differenze (tra essere e nulla, tra pensiero ed essere, tra universalità e singolarità) in un essere indifferente. In secondo luogo, è la realtà del singolo di fronte alla universalità storica (della storia mondiale e della generazione presente, della folla, del pubblico e dell’epoca), per la quale l’individuo in quanto tale non conta nulla. Essa è, in terzo luogo, l’esistenza interiore del singolo di fronte all’esteriorità dei rapporti; in quarto luogo un’esistenza cristiana di fronte a Dio, che si contrappone all’esteriorizzazione dell’esser-cristiani nel senso della cristianità propagata storicamente. In quinto luogo, in mezzo a queste determinazioni, essa è innanzitutto un’esistenza che si decide, pro o contro l’esser-cristiani. In quanto esistenza che si decide in un senso o nell’altro, essa rappresenta l’antitesi dell’epoca “intellettuale” e della concettualità di Hegel, che non conosce questa alternativa. […]
Per la rivoluzione contro il mondo borghese-capitalistico Marx si è appoggiato sulla massa del proletariato; mentre Kierkegaard nella sua lotta contro il mondo borghese-cristiano ha riposto ogni sua speranza nell’individuo.[…] per Marx la società borghese è una società di “individui isolati”, in cui l’uomo è estraneo al suo “essere generico” e …per Kierkegaard la cristianità si riduce ad un cristianesimo volgarizzato per la folla, in cui nessuno si presenta come successore di cristo. […] Marx si volge contro l’estraniarsi da sé che il capitalismo rappresenta per l’uomo; Kierkegaard contro l’estraniarsi da sé che la cristianità rappresenta per il cristiano. […] Marx ha contrapposto alla bancarotta di “questo mondo invecchiato” il proletariato, e Kierkegaard l’esistenza isolata di fronte a Dio. […] Alla critica mondana di Marx del mondo borghese-capitalistico corrisponde così, sulla base dello stesso distacco dalla realtà sussistente, la critica ugualmente radicale di Kierkegaard del mondo borghese-cristiano, che è tanto estraneo al cristianesimo originario, quanto lo stato borghese è differente da una polis. Marx sottopone a una decisione radicale i rapporti esterni di esistenza della massa, e K. fa lo stesso con il rapporto interiore di esistenza del singolo di fronte a se stesso; Marx filosofa senza Dio e K. dinanzi a Dio: queste antitesi palesi hanno peraltro come presupposto comune il distacco da Dio e dal mondo. […] Sulla base di un eguale distacco dal mondo razionale di Hegel, essi separano nuovamente ciò che questi aveva unito.. M. si decide per un mondo umanitario, “umano”, e K. per un cristianesimo fuori dal mondo, che, “considerato umanamente”, risulta “inumano”. […] Per quanto lontani siano l’uno dall’altro, sono però strettamente congiunti nell’attacco comune alla realtà esistente e nel distacco da Hegel. […] entrambi rimangono saldamente attaccati a quella scissione totale del terreno e del divino, da cui era partito alle soglie del XIX secolo lo stesso giovane Hegel per la ricostituzione dell’Assoluto come suprema unificazione dei due opposti».

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