1. L’oggetto della ricerca della filosofia eleatica: (1 p)
a) è la sostanza fisica delle cose, capace di spiegare la molteplicità dei fenomeni naturali
b) è l’essere unico e immutabile di fronte a cui il nostro mondo è apparenza ingannevole
c) è l’essere eterno che sta al di là del divenire delle cose
d) sono gli elementi eterni e immutabili che combinandosi tra loro formano le cose del mondo
2. La nascita e la morte, secondo Empedocle: (1 p)
a) non esistono in senso assoluto
b) sono causate rispettivamente dall’amore e dall’odio
c) riguardano soltanto la fase dello “sfero”
d) si spiegano con l’aggregazione e la separazione di infiniti elementi originari
3. Si deve ai sofisti lo sviluppo del concetto di “cultura” come: (1 p)
a insieme di conoscenze specialistiche
b educazione del singolo alla vita nella società
c formazione complessiva di un individuo
d capacità critica verso il sapere comune
4. L’essere per Anassagora sono: (1 p)
a cielo, acqua e la terra
b omeomerie
c l’essere
d logos
5. In riferimento alla dottrina atomistica, indica se le affermazioni seguenti sono vere o false.[Punteggio: 0,5 punti per ogni risposta corretta]
a La materia è un insieme di particelle indecomponibili V
b L’universo degli atomisti è spazialmente delimitato e ospita un numero finito di mondi F
c Tutto ciò che accade è prodotto da un preciso sistema di cause V
d Le sensazioni derivano dal contatto tra gli atomi che emanano dagli oggetti e gli atomi dell’anima V
6.Utilizza le espressioni e i termini elencati per completare la mappa (3 p)
opinione ingannevole • opinione plausibile • non può non essere • immobile • il non essere • esperienza
Parmenide distingue tre sentieri:
– quello della verità, che porta ad affermare che l’essere è e non può non essere; perciò l’essere è ingenerato, imperituro, eterno, immobile, immutabile, unico, omogeneo, finito;
– quello dell’opinione fallace, che mescola l’essere e il non essere;
– quello dell’opinione plausibile, che giunge a una spiegazione verosimile dell’esperienza.
7. Quali differenze si possono riscontrare tra il nous di Anassagora e il logos di Eraclito?
In sintesi, i significati del termine lógos, secondo Eraclito sono essenzialmente tre:
1. il Fuoco in quanto principio fisico dell’universo;
2. la Ragione che come legge universale governa l’universo;
3. il Pensiero che comprende la Ragione universale e il Discorso che esprime questa conoscenza. A questo proposito, si dà un nesso tra la Ragione che governa il mondo e quella che governa la nostra mente: esse sono identiche e dunque l’ambiguità espositiva nell’opera Sulla natura è dettata dallo stesso lógos che fa si che la natura ami nascondersi.
La comprensione del lógos risulta complessa (fr. 1), ma non impossibile: l’uomo può “dire in accordo con il lógos ”, quindi conoscere tramite quella ragione che è insita nella sua stessa anima. Vera parola, Ragione e realtà sono perciò strettamente collegate fra di loro: il lógos (Parola) descrive mediante il lógos (ragione umana) il lógos (la Ragione del tutto, o armonia dell’universo). Essere saggi consiste quindi in questo: “comprendere come il tutto sia governato attraverso il tutto”(fr. 41).
Anassagora definisce Noûs (che in greco significa intelletto) la Mente ordinatrice dell’universo, ossia quell’agente che ha sceverato i semi, originariamente confusi nel caos primordiale, permettendo la formazione del nostro mondo. Si tratta i una forza esterna, che agisce all’inizio dei tempi e che ordina i semi, prima confusamente collocati nello spazio, in modo tale che si formino, grazie al movimento, il sole, gli astri, i corpi celesti, quindi tutte le cose.Il movimento, generato dall’esterno, comporta la separazione e la selezione fra i semi. Una volta indotto l’ordine, il Noûs esaurisce la sua funzione: è quindi un principio che può essere accostato alla causa trascendente del cosmo, ma la sua azione è soltanto parzialmente provvidenzialistica.Tuttavia, la Mente ordinante di Anassagora rappresenta nella storia della filosofia il primo caso in cui si introduce una causa finalistica della natura, sicuramente più complessa rispetto alle cosmologie precedenti. E’ quanto infatti riconobbero Platone ed Aristotele. Essi hanno poi però osservato che Anassagora ha fatto ricorso al principio intelligente soltanto in quei casi in cui la spiegazione naturalistica dei fenomeni difettava.
8. Come si applicano alla filosofia parmenidea i due principi di identità e di non-contraddizione?
Nel Proemio dell’opera in versi, poi intitolata Sulla natura, Parmenide immagina di compiere un viaggio, la cui meta consiste nella rivelazione filosofica della verità che gli viene comunicata da una Dea. Tramite la metafora del viaggio, il filosofo introduce l’immagine della “porta che divide i sentieri della Notte e del Giorno” (DK 28 B1, v.11), raffiguranti, rispettivamente, la via fallace delle opinioni dei mortali (dóxa) e quella basata sulla ragione che conduce alla verità (alétheia) (DK 28 B1, vv. 29-30). Parmenide può imboccare il sentiero della verità soltanto alla condizione di affidarsi al principio della ragione. Esso si enuncia con questa tesi: l’essere è e non può non essere e il non essere non è e non può essere (DK 28 B2 e B3). In questo modo l’Eleate fa coincidere l’attività della ragione con i principi logici dell’identità e della non contraddizione, che verranno però codificati soltanto più tardi. In forza della tesi posta, Parmenide introduce una stretta corrispondenza fra la sfera logica (“il non essere non lo puoi pensare”), la sfera linguistica (il non essere “non lo puoi esprimere”) (crf. DK 28 b2 vv. 7 e 8) e fra queste e la sfera ontologica da cui ha mosso la sua riflessione (“il non essere non è e non è possibile che sia”). La stretta corrispondenza evidenziata comporta quindi la coincidenza di essere e pensare (“è la stessa cosa pensare ed essere”: DK 28 B3). Per contro, alla base della tesi della non esistenza del nulla, egli deduce necessariamente questa serie di attributi dell’essere (cfr. DK 28 B8, vv. 1-13): ingenerato e imperituro, intero, unico, immobile ed eterno, omogeneo e finito. L’essere è quindi la ragione di ogni cosa.
9. Quali sono le caratteristiche della filosofia di Empedocle?
Il filosofo di Agrigento sostiene che il principio fondamentale della conoscenza è che “il simile si conosce col simile”: la conoscenza avviene mediante l’incontro tra l’elemento presente nell’uomo e lo stesso elemento che si dà al di fuori dell’uomo. Scrive infatti Empedocle che :”Noi conosciamo la terra con la terra, l’acqua con l’acqua, l’etere con l’etere, il fuoco distruttore col fuoco, l’amore con l’amore e l’odio funesto con l’odio” (fr. 109). Questa dottrina comporta l’introduzione di uno schema che avrà numerose riprese nella storia della filosofia successiva. Si tratta in effetti della teoria della sostanziale omogeneità fra il pensiero umano (la ragione) e l’universo. In particolare, dalle cose provengono efflussi che producono la sensazione quando, passando attraverso i pori degli organi di senso, vi si adattano per la loro grandezza; altrimenti rimangono inavvertiti (Diels, A 86). Empedocle non pone alcuna differenza fra la conoscenza dei sensi e quella dell’intelletto. Anche quest’ultima avviene allo stesso modo per un incontro degli elementi interni ed esterni. Inoltre Empedocle è consapevole dei limiti della conoscenza umana. I poteri conoscitivi dell’uomo sono circoscritti: l’uomo vede soltanto una piccola parte di una “vita che non è vita” (perché sfugge subito) e conosce solamente ciò in cui per caso si imbatte. Ma appunto per questo non può rinunciare ad alcuna delle sue potenzialità conoscitive. E’ quindi necessario che si serva di tutti i sensi, ed anche dell’intelletto, per vedere ogni cosa nella sua chiarezza.
10. Che cosa sono gli atomi e quali sono le loro proprietà?
La prima visione completamente meccanicistica nel mondo greco è l’atomismo di Democrito (460-370 circa a. C.), che viene poi ripreso da Epicuro (341-270/271 a. C.) e dal poeta latino Lucrezio (98-54 circa a. C.). Secondo Democrito tutta la realtà è costituita da atomi che si muovono incessantemente nel vuoto. Gli atomi sono particelle elementari, indivisibili, differenti tra loro solo per caratteristiche quantitative o oggettive come la forma, la grandezza, l’ordine e la posizione, dotate di movimento eterno che è ad esse connaturato. L’incessante movimento porta gli atomi ad aggregarsi e a separarsi, dando luogo alla nascita, alla trasformazione e alla morte di tutto ciò che esiste. Le cose sono pertanto combinazioni di atomi. Anche l’uomo è una realtà esclusivamente materiale e l’anima non è differente dal corpo se non per il fatto che è composta da atomi sottilissimi, mobilissimi, tondi e lisci. La diversità delle cose è spiegata in base alla varietà della forma, della grandezza e della disposizione degli atomi che si aggregano: da ciò segue che la spiegazione del mondo sta negli aspetti quantitativi e misurabili delle cose, gli unici dei quali deve occuparsi la scienza. Gli aspetti qualitativi, come il colore e il sapore, sono soggettivi, frutto dei nostri sensi e non proprietà delle cose. Il movimento originario degli atomi nel vuoto è caotico, irregolare, del tutto casuale.
L’atomismo di Democrito esclude, infatti, che vi siano un principio trascendente o un principio immanente al mondo che dirigano il tutto verso uno scopo. Le cose nascono e muoiono senza alcun finalismo, secondo processi puramente meccanici dovuti al movimento degli atomi in tutte le direzioni.
In realtà Democrito, escludendo qualsiasi causa finale nella natura, non intende propriamente introdurre in essa la casualità. Se la natura non avesse un ordine, sarebbe infatti come un libro senza senso che nessuno si metterebbe a leggere. A Democrito è stato attribuito il principio della conservazione della materia e dell’energia, per la sua affermazione che “Nulla è creato dal nulla né si distrugge nel nulla”, e anche l’idea del movimento per inerzia dei corpi, per il moto naturale di cui gli atomi sono dotati.
Va però precisato che questi principi, così come la stessa teoria atomistica, non sono in Democrito il risultato di un’indagine sperimentale, come avverrà per la scienza moderna, ma il frutto di una deduzione razionale a partire da problemi filosofici lasciati aperti dai pensatori precedenti.